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Violenza e maltrattamento contro l’infanzia: fragilità genitoriale e valutazione delle competenze

Sarah Miragoli e Luca Milani

CRIdee – Centro di Ricerche Dinamiche Evolutive ed Educative

Università Cattolica di Milano

 

 

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2002) per violenza ai danni dell’infanzia si intendono «tutte le forme di maltrattamento fisico e/o emotivo, abuso sessuale, incuria o trattamento negligente nonché sfruttamento sessuale o di altro genere, che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere». Partendo da questa definizione, è possibile quindi individuare categorie tassonomiche principali, che consentono di identificare alcune specifiche declinazioni della violenza: la trascuratezza, il maltrattamento fisico, il maltrattamento psicologico, la violenza assistita e l’abuso sessuale. Nella realtà, tali manifestazioni difficilmente si presentano singolarmente, ma spesso diverse forme si combinano e convergono in situazioni complesse di maltrattamento multiplo.

Dai dati della Seconda Indagine Nazionale sul maltrattamento di bambini e adolescenti (2021), realizzata dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Terres des Hommes e CISMAI, emerge come in Italia siano circa 77.500 i minori, vittime di violenza in carico ai Servizi Sociali (193 minori ogni 1.000): nel 40.7% dei casi sono segnalati per patologie nella somministrazione delle cure (trascuratezza, ipercura e/o discuria), nel 32.4% per violenza assistita, nel 14.1% per maltrattamento psicologico, nel 9.6% per maltrattamento fisico e nel 3.5% per abuso sessuale. Nel 40.7% dei casi si rileva come i minori siano vittime contemporaneamente di più forme di violenza (maltrattamento multiplo) e nel 91.4% dei casi la violenza si consumi all’interno del contesto familiare.

Questi dati certamente mostrano la fragilità delle competenze genitoriali nel prevenire e garantire ai minori un contesto di crescita sano, adattivo e sicuro. In questo senso, il concetto di fragilità genitoriale è particolarmente interessante da un punto di vista clinico e descrittivo, in quanto richiama la presenza di difficoltà, carenze e sofferenza nei genitori, in grado potenzialmente di inficiare le traiettorie di sviluppo dei figli, evolvendo verso forme di disadattamento e disagio. Nella sezione “raccomandazioni” del report della Seconda Indagine Nazionale, al Capo IV, viene non a caso esplicitamente menzionata la necessità di armonizzare e omogeneizzare gli strumenti per la rilevazione precoce del maltrattamento sui bambini, inclusi dunque i sistemi di valutazione della fragilità, del rischio e delle competenze genitoriali – compendiando la prassi di presa in carico con i dati di ricerca disponibili.

Per questa ragione, nell’ambito della valutazione del rischio in situazioni di pregiudizio familiare, si è progressivamente affermata una prospettiva dinamica e processuale, basata sulla costante sinergia ed interconnessione tra vulnerabilità, fattori di rischio e fattori protettivi. Le traiettorie evolutive sono, infatti, guidate dai principi di multifinalità (secondo cui da condizioni iniziali simili possono derivare esiti diversi) e di equifinalità (in base al quale da condizioni iniziali diverse possono derivare esiti simili). In questa prospettiva il modello process-oriented (Cummings et al. 2000; 2020) e soprattutto il Protocollo sui fattori di rischio e di protezione (Di Blasio, 1997; 2005) rappresentano la cornice teorica e lo strumento di rilevazione in grado di fornire agli operatori dei validi criteri che guidino nell’individuazione delle condizioni di pregiudizio.

Il Protocollo, in particolare, tiene in considerazione i fattori di rischio (individuali, relazionali e contestuali) e i fattori protettivi (capaci di mitigare e lenire, con il proprio impatto positivo, le condizioni di rischio), e discrimina efficacemente, come hanno dimostrato numerose ricerche, tra basso/alto livello di rischio. Pertanto, sebbene potenzialmente predittivi di esiti negativi, i fattori di rischio sono intesi come dotati di un’intrinseca processualità ed attivamente connessi alle risorse potenzialmente presenti all’interno di un contesto.

I fattori di rischio possono essere distinti in distali e prossimali, in funzione della contiguità delle influenze che esercitano nelle interazioni quotidiane caregiver-bambino. In particolare, i fattori distali esercitano un’influenza indiretta e contribuiscono a generare uno stato di vulnerabilità, senza necessariamente produrre danni. Nel Protocollo sono individuati i seguenti fattori distali: povertà cronica, basso livello di istruzione, giovane età della madre, carenza di relazioni interpersonali e di integrazione sociale, mono-genitorialità, esperienze infantili pregresse di rifiuto e/o di abuso, sfiducia nelle norme e nelle istituzioni, accettazione della violenza nelle pratiche educative, accettazione della pornografia infantile, scarse conoscenze e disinteresse per lo sviluppo del bambino.

I fattori di rischio prossimali, invece, si esprimono direttamente nelle interazioni quotidiane e si ritrovano esplicitamente nelle pratiche educative. Nel Protocollo sono individuati i seguenti fattori di rischio prossimali: psicopatologia, devianza sociale, abuso di sostanze, debole/assente capacità di assunzione della responsabilità, sindrome da risarcimento, distorsione delle emozioni e delle capacità empatiche, impulsività, scarsa tolleranza alla frustrazione, ansia da separazione, gravidanza/maternità non desiderata, relazioni difficili con la propria famiglia di origine e/o con quella del partner, conflittualità di coppia e/o violenza domestica, presenza nel bambino di malattie fisiche, temperamento difficile.

Infine, i fattori prossimali di protezione  sono da intendersi come elementi che riducono l’effetto dei fattori di rischio e il Protocollo indica i seguenti come significativi: presenza di sentimenti di inadeguatezza per la dipendenza dai Servizi territoriali, rielaborazione del rifiuto e della violenza subiti nell’infanzia, capacità empatiche, assunzione della responsabilità, desiderio di migliorarsi, autonomia personale, buon livello di autostima, relazioni soddisfacenti almeno con un componente della famiglia d’origine, capacità di gestire i conflitti, temperamento facile.

Pertanto, la valutazione del rischio, l’attuazione di efficaci interventi di contrasto della violenza ai danni dell’infanzia e il potenziamento delle competenze dei genitori passano attraverso un’attenta analisi delle complesse interconnessioni tra fattori distali (vulnerabilità) e fattori prossimali di rischio e di protezione. Mettere a disposizione degli operatori strumenti di valutazione della fragilità genitoriale e del rischio di maltrattamento, che siano affidabili e di agevole applicazione, è una delle sfide per il futuro, alla quale si è già iniziato a rispondere.

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