
«Il progetto “La valorizzazione delle fonti documentali a servizio della salute mentale. II Edizione”, promuove azioni centrate sul patrimonio culturale del comprensorio di Santa Maria della Pietà, ritenendo che studiare e valorizzare l’evoluzione che la cura della salute mentale ha avuto nel tempo faccia crescere comunità consapevoli. Il programma “Per una cultura della cura. Il patrimonio culturale risorsa per la salute della comunità” si propone di sviluppare percorsi volti alla conoscenza, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale dell’ex manicomio con il fine di promuovere l’educazione alla salute, all’inclusione sociale e alla lotta allo stigma».
Per realizzare questo progetto—un’avventura di un anno iniziata nel settembre 2022—noi volontari del Servizio Civile ci siamo posti la domanda: quali possono essere le attività in grado di valorizzare e comunicare in modo efficace un patrimonio ricco e complesso come quello del Santa Maria della Pietà? L’idea ci è venuta seguendo l’esempio del Museo Laboratorio della Mente, che prima dei lavori di riallestimento, già svolgeva quella funzione di educazione alla salute, all’inclusione sociale e alla lotta allo stigma: attraverso visite guidate. Abbiamo così ideato un percorso che raccontasse l’evoluzione storica dell’ex manicomio, dalla sua apertura fino alla sua chiusura, compreso il momento attuale, con tappe in punti precisi della struttura, per permettere ai visitatori di visualizzare concretamente gli eventi che raccontiamo, aiutati da testimonianze dirette di ex pazienti e infermieri raccolte durante i nostri primi mesi di studio e formazione. Il target di questa attività sono i giovani, studenti del liceo, in particolare quelli che hanno indirizzi legati al sociale e alla psicologia (ma non sono mancati individui più grandi, addirittura internazionali).
Già dalle prime visite ci siamo accorti di stare facendo un lavoro che andava ben oltre le nostre aspettative: siamo diventati infatti attivi promotori di un processo di attivazione delle memorie, di riconoscimento e di tutela dei patrimoni culturali di comunità senza che ce ne rendessimo conto, grazie a questo progetto. Un progetto che non coinvolge solamente noi volontari che raccogliamo testimonianze e storie del manicomio da riportare al pubblico, quanto invece protagonisti diversi per età, provenienza, genere, formazione e visioni del mondo, che decidono di seguirci nel percorso che abbiamo delineato, contribuendo sia con la loro disposizione all’ascolto, sia attraverso domande e riflessioni personali.
È un’esperienza collettiva, una sorta di nuova forma di socializzazione in cui più soggetti partecipanti si incontrano e confrontano: persone e luoghi, passato e presente, immateriale e concreto, tempo e spazio. E l’obiettivo dell’incontro/confronto è colmare, o almeno cercare di ridurre il più possibile il divario che esiste tra il patrimonio di conoscenze disponibile e le persone che dovrebbero usufruirne, per poi trasmetterlo a loro volta ad altri.
Si parte dal basso con delle buone pratiche a livello locale, contro lo stigma associato al disagio mentale, per facilitare un cambio di paradigma culturale a un livello territoriale più ampio. Noi forniamo un primo accesso al sapere, una chiave di lettura per una stratificazione di storie che solo all’apparenza è incomprensibile e poco rilevante per la nostra quotidianità. L’ombra dello stigma in cui sono sempre stati relegati i problemi di salute mentale, ha avvolto e continua ad avvolgere la storia e i luoghi legati al concetto di disagio mentale. Sulla facciata del padiglione 26 permane la scritta “MANICOMIO della PROVINCIA”, a memoria di un passato che non si vuole ricordare o che più semplicemente—come nel caso dei giovani nati a partire dagli anni ’90 e oltre—non si conosce. Con una partecipazione diretta e la condivisione della storia del Santa Maria nelle visite guidate, cerchiamo ogni giorno a nostro modo di valorizzare e accrescere un bene comune, promuovere e divulgare un patrimonio immateriale che ha in sé il potenziale di apportare cambiamenti e favorire la comunità.
Più che di guida o narrazione, la nostra attività potrebbe inscriversi nella categoria dell’archeologia: essa, infatti, ha come vocazione quella di riconnettere il passato con il presente, studiarne la sovrapposizione o stratificazione nel tempo e nello spazio, così da poter comprendere meglio la relazione che sussiste fra i manufatti che scopre. «Nel suo scavo l’archeologo rinviene utensili di cui ignora la destinazione, cocci di ceramica che non combaciano, giacimenti di altre ere da quella che s’aspettava di trovare lì: suo compito è descrivere pezzo per pezzo anche e soprattutto ciò che non riesce a finalizzare in una storia e in un uso, a ricostruire in una continuità e in un tutto» (Italo Calvino, Lo sguardo dell’archeologo, 1972).
Tra le rovine presenti del Santa Maria, in questi mesi di lavoro, studio e scavo, abbiamo rinvenuto storie, frammenti, immagini, persone e luoghi, manufatti di cui abbiamo dovuto rintracciare l’origine e l’uso a partire da un passato che ci risultava difficile da delineare e conciliare con l’oggi. Da archeologi abbiamo approfondito e recuperato il legame che intercorreva e tuttora intercorre tra gli eventi storici a cui quei manufatti appartengono e il presente. Ed è questo ciò che riportiamo nelle nostre visite guidate: il patrimonio collettivo, storico, antropologico e paesaggistico che è il Santa Maria della Pietà, con i suoi padiglioni dismessi e non, con la sua vegetazione, con le sue fontane, con le sue stanze che ormai hanno cambiato veste e funzione, con le sue piazze, con i suoi sentieri e con le persone che lo hanno vissuto e quelle che lo vivono oggi.
Il gruppo dei volontari del SCU della UOSD Laboratorio Museo della Mente è composto da Tommaso Capogrossi, Giulia Censi, Marzia D’Alessandro, Alessia D’Urso, Simone Ruggeri, Fabrizio Sani, Carola Santoro