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OSSERVAZIONI SULLA PEDOFILIA, ABUSI E VIOLENZA SESSUALE IN DANNO DI MINORI

MASSIMO DI GENIO

Referente psichiatra IPC per la Medicina Legale DSM ASL Roma 1

UOC SPDC San Filippo Neri

 

 

La pedofilia è un fenomeno più diffuso di quanto sembri ed addirittura appare essere un fenomeno di massa con interessi economici e turistici specie in alcuni contesti di marginalità sociale. In tv scorrono immagini di bambine che sono “vendute” dai propri genitori, oppure di adolescenti che si prostituiscono ad efebofili non solo per sopravvivere, ma più spesso per avere il denaro necessario a garantire loro il superfluo che l’attuale modello sociale dominante fa apparire come “necessario”. Un altro dato tristemente attuale è la quantità di materiale erotico e pornografico che viene trasmesso on-line, diventando spesso un canale di commercio ed offerta in cui sono coinvolti non infrequentemente minori.

Da un punto di vista clinico sappiamo che ci sono diverse strutture mentali di pedofilia, che più avanti, nella presente trattazione, analizzeremo sinteticamente da un punto di vista psicodinamico.  In senso generico, in estrema sintesi esemplificativa, possiamo anticipare che il pedofilo può (non deve) presentare una personalità destrutturata in senso psicotico o difettuale e che la pedofilia si può presentare da sola o in combinazione con altre forme di perversione, nonché può essere sia omo che eterosessuale e rivolta a bambini o adolescenti.  Provando ad analizzare un profilo di pedofilo, in genere si rileva un rifiuto di crescita, un forte desiderio dell’infanzia polarizzato in senso sessuale e nostalgico, un rifiuto degli adulti. Si riscontra anche che i pedofili abbiano subito a loro volta abusi sessuali o traumi e spesso da bambini sono stati oggetti sessualizzati da parte di soggetti della loro famiglia o estranei. Questi individui ripetono il trauma e diventati adulti diventano a loro volta abusatori. Possono essere stati anche dei bambini isolati ed esclusi dagli altri coetanei.  La pedofilia si riscontra, sebbene in misura nettamente minore, anche nel mondo femminile: si stima che in cinque casi su cento l’abuso sia avvenuto da parte di madri incestuose, oppure di donne ambigue e perverse che ricoprono ruoli di lavoro che le pongono a contatto con i bambini.

Nelle discipline psicologiche la pedofilia viene solitamente ricondotta nel vasto alveo delle perversioni, in particolare nelle parafilie, disturbi sessuali in cui la libido si colloca su un oggetto sostitutivo di quello normale, determinando una deformazione dell’immagine del partner. In relazione alla maggiore o minore frequenza con cui le parafilie trovano sfogo nel comportamento abusante si distinguono tre livelli di gravità: lieve, moderata e grave, a seconda del fatto che gli impulsi parafilici non siano mai messi in atto, messi in atto occasionalmente o ripetutamente. Come già dianzi anticipato, le diverse ipotesi interpretative, elaborate dalle scienze criminologiche riguardo al comportamento pedofilo, hanno messo gradualmente in luce come la pulsionalità istintuale del pedofilo sarebbe legata a fissazioni e regressioni verso forme di sessualità infantile (teorie pulsionali) e come l’attività sessuale del pedofilo sarebbe da ricondursi ad una fuga dalla relazione con l’altro adulto (teorie relazionali). In altri termini il pedofilo, per l’insufficienza strutturale della propria  personalità,si sentirebbe inadeguato a conquistare un partner adulto e pertanto rivolgerebbe più facilmente la sua pulsionalità su un ”oggetto facile”, quale il bambino, affermando solo così la propria identità. Il rapporto con il bambino, infatti, evita al pedofilo il rapporto con la propria fragile identità, la quale può aver avuto un arresto dello sviluppo psicosessuale dovuto ad un trauma precoce (sperimentando ad es. una sessualità traumatica compiuta da un adulto della propria famiglia o da un estraneo, pedofilia endogamica o esogamica) o ad un conflitto sessuale (causato ad es. dall’aver vissuto la propria sessualità in un ambiente eccessivamente restrittivo, con costante insuccesso, da una formazione distorta del proprio psichismo causata da una patologi).

Un’altra distinzione riguardante “l’agire” del pedofilo è quella fra pedofilo non conflittuale e pedofilo conflittuale a seconda che tale tendenza sia vissuta in maniera egosintonica oppure egodistonica. Infatti mentre nel primo caso difficilmente emergeranno preoccupazioni per “l’altro”, nella seconda ipotesi, la situazione caratterizzata dal conflitto fra le fantasie del pedofilo e il loro concretizzarsi in azioni, può comportare uno stato di disagio, con sintomi di sofferenza psichica che saranno difficilmente ravvisabili nel pedofilo non conflittuale.

Il tratto di maggiore interesse criminologico, è dato dall’individuazione dei casi non psicopatologici, precisando che la pedofilia non sembra essere di per sé un’entità nosologica distinta, ma un sintomo di un qualunque altro disturbo o un epifenomeno dovuto alla patologia di base, come ad es. accade quando essa diviene una delle manifestazioni perverse tipiche delle oligofrenie o delle psicosi. Ciò premesso, va rilevato che le caratteristiche delle ipotesi non psicopatologiche sono ricondotte a tratti di infantilismo, impotenza e immaturità sessuale, mentre le ipotesi psicopatologiche possono essere di varia natura, ma comunque comportano, ai fini dell’imputabilità nel giudizio penale, l’infermità o la semi-infermità di mente.

In altri termini, è spesso possibile trovarsi di fronte a casi in cui il perverso presenta una struttura psicopatica della personalità non dipendente da infermità, ma da “semplici” aspetti disarmonici di personalità privi di caratteristiche psicotiche, il che non compromette la capacità d’intendere e di volere e pertanto l’imputabilità. Statisticamente peraltro, è proprio questa l’ipotesi più probabile, ovvero quella in cui il fenomeno pedofilia coinvolge profili di soggetti privi di infermità mentali nosograficamente definibili.

Da ciò si comprende la scelta del nostro ordinamento, dopo gli interventi legislativi attuati con le leggi n. 66 del 15.02.1996, n. 266 del 03.08.1998 e ancor più di recente con la l. n. 154 del 04.04.2001.

La prima ha sostituito i reati di violenza carnale, atti di libidine violenta e la congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale con la fattispecie unica di “violenza sessuale”, punita con la reclusione da 5 a 10 anni (art. 609 bis c.p.). Ha creato inoltre quattro nuove fattispecie criminose: violenza sessuale aggravata (art. 609 ter, c.p.); atti sessuali con minorenne (art. 604 quater, c.p.); corruzione di minorenni (art. 609 quinquies, c.p.); violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies, c.p.).

Si è ulteriormente estesa l’area della tutela con pene accessorie ad hoc e con l’adattamento di taluni istituti processuali alle peculiarità della vittima. Dall’art. 609 nonies c.p. è comminata: la perdita della potestà genitoriale, quando la qualità di genitore diventa elemento costitutivo del reato; l’interdizione perpetua dagli uffici di tutore o curatore nonché la perdita del diritto agli alimenti e l’incapacità a succedere nei confronti della persona offesa dal reato. Altre importanti novità sono comprese nella modificazione dei termini per la proposizione della querela (sei mesi), nella irrevocabilità di quest’ultima, e nella iniziativa per l’accertamento del reato, vista la procedibilità d’ufficio prevista dall’art. 609 septies, c.p., in alcune ipotesi ritenute particolarmente gravi (fatti commessi nei confronti di infraquattordicenni; fatti commessi da genitori, conviventi, tutori, o più in genere persone cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia; fatti commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni). Il supporto psicologico del minore viene inoltre assicurato anche attraverso la particolare attenzione riservata all’assunzione della testimonianza dell’infrasedicenne, in sede di incidente probatorio, anche in luogo diverso dal tribunale e tramite lo svolgimento del processo “a porte chiuse”. Sulla materia in questione incidono profondamente anche le recenti misure contro la violenza nelle relazioni familiari introdotte con la legge 154/2001. In essa viene, per la prima volta, prevista una misura cautelare meramente coercitiva, consistente nell’allontanamento dalla casa familiare, anche qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli artt. 570, 571, 600 bis e ss., 609 bis e ss., del codice penale, disposto anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 280 c.p.p. Con questo provvedimento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare del nucleo in cui si è perpetrato l’abuso e di non accedervi senza la prevista autorizzazione. L’ambito di tutela garantito è inoltre corroborato dalla possibilità per il giudice di emettere il c.d. ordine di protezione, di cui agli artt. 2 e ss. della stessa legge, che consente di intimare all’autore dell’abuso di non avvicinarsi, per un periodo predeterminato, ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante.

Le “norme contro la pedofilia” introdotte nel 1998 con gli artt. 600 bis e ss., c.p. costituiscono invece una importante innovazione, soprattutto laddove vengono sanzionate le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile. Si colpiscono in tal modo sia gli organizzatori del c.d. “turismo sessuale”, sia chi commette all’estero un reato contro minori ritenuto tale dalla legge italiana, indipendentemente dal fatto che quel reato sia tale anche nel luogo in cui viene commesso.

La deroga al principio internazionalistico della territorialità si spiega per la particolare gravità del delitto.

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