
Una recente ricerca denominata Mindscape, portata avanti da un gruppo di lavoro di Sapienza Università di Roma all’interno del Dipartimento di Architettura e Progetto (coordinata da Lucina Caravaggi) ha sviluppato la possibilità di far interagire la domanda emergente di nuovi spazi per la cura e il benessere psico-fisico, che proviene da Istituzioni, collettività, psicoterapeuti e operatori sociali, con l’ ambito disciplinare dell’architettura del paesaggio , trovando un fertilissimo campo di applicazione nel patrimonio di “recinti terapeutici” (ospedali psichiatrici, sanatori), oggi per lo più abbandonati , sottoutilizzati, poco valorizzati o in attesa di nuove identità.
L’ipotesi guida è che questi complessi ospedalieri, caratterizzati da vasti spazi aperti che oggi hanno maturato anche un notevole interesse ecologico e storico-paesaggistico, possano rappresentare un ambito privilegiato di sperimentazione a partire proprio dall’interazione con gli spazi aperti.
Gli obiettivi a cui tendere potrebbero essere cosi sintetizzati:
_ inclusività nelle mille declinazioni che possono essere immaginate, in particolare cercando di eliminare le barriere tra prevenzione (rivolta ai sani) e cura (rivolta a chi si trova in un qualche stato di sofferenza), tra spazi della cura e contesti urbani;
_esperienza diretta di conoscenze vitali per l’equilibrio psico-fisico attraverso educazione al movimento, alla socialità, all’alimentazione, ecc.
_rotte personalizzate di empowerment finalizzate allo sviluppo di abilità che possono aprire la strada ad attività lavorative per favorire l’autosufficienza dei soggetti fragili;
_attività volte a favorire “menti in salute” attraverso un rinnovato rapporto con gli spazi che condividiamo con altre specie viventi.
Questa convinzione nasce anche dalla volontà di non disperdere, o peggio cancellare, la “storia” di questi complessi, intesa come storia della cura psichiatrica e nello stesso tempo storia degli spazi progettati per svolgere questa “funzione”.
L’ipotesi di ricerca è che questi complessi potrebbero avere una secondo ciclo di vita se inseriti in una visione dinamica e diversificata del supporto e della cura dei disagi psichici.
In questo quadro il primo tema affrontato dalla ricerca è quello del rapporto con la città. Dopo la riforma Basaglia gli ospedali psichiatrici del passato hanno mutato rapidamente funzionamento e , in parte, immaginari collettivi, proprio attraverso l’apertura ai contesti circostanti. Oggi questo rapporto, ormai consolidato, sta acquistando nuovi significati.
In molti casi, come a Santa Maria della Pietà, il tentativo è stato quello di conciliare le esigenze di cura e quelle di apertura, nella convinzione che proprio l’integrazione tra attività collettive aperte e attività terapeutiche mirate costituisca uno strumento di inclusione e sensibilizzazione, nonchè di valorizzazione di straordinari patrimoni architettonici e ecologici.
Il secondo tema è centrato su un nuovo bilanciamento spaziale tra parti che un tempo erano isolate, e spesso contrapposte: dentro-fuori, interno-esterno, individuale-collettivo. Si tratta di un esercizio di flessibilità dell’immaginazione che è alla base del rapporto tra spazi collettivi e spazi dedicati a cure specifiche. Il parco di santa Maria della Pietà potrebbe costituire un esempio di spazio transizionale e dinamico capace di far co-esistere persone con esigenze diverse e con differenti stati emotivi e mentali, combinando senza conflitti servizi alla persona e servizi alla comunità. Si tratta di modellare (shaping) spazi adatti per le diverse attività ospitate dal parco, all’insegna di nuove forme di conoscenza e educazione legate al proprio corpo (alimentazione e movimento) e alla socialità (attività collettive connesse ad “esperienze”dirette).
Il terzo tema è centrato su rapporto tra arti, creatività culturale e valorizzazione spaziale dei recinti terapeutici. Progettare laboratori e spazi aperti connessi alla creatività è molto importante per incentivare la produzione culturale e la vitalità espressiva, avvicinando differenti artisti contemporanei a percorsi esperienziali differenti, anche attraverso allestimenti temporanei e flessibili.
A questo fine, in collaborazione con Vittorio Lingiardi, abbiamo messo a fuoco alcuni concetti chiave da utilizzare come riferimenti per una riflessione a più voci, in cui le diversità e le differenze vengono ricondotte a un common ground tra discipline della mente e del progetto, che permette una forma proficua di “comprensione” e di scambio. Nessun tentativo di generalizzazione forzata, solo una forma creativa di coerenza, e la sicurezza che il dialogo con altre discipline costituisca una delle costanti dell’architettura nelle sue infinite declinazioni.
Come esempio di un possibile modo di procedere, abbiamo messo a fuoco tre concetti “ponte”, come esempi di possibili attraversamenti da uno spazio disciplinare all’altro, e capaci magari di favore l’incontro proprio sull’acqua, come il Ponte sulla Drina di Ivo Andric, qui sinteticamente definiti a partire da tre brani del libro di Lingiardi Mindscape.
a.shaping _nel “nostro” campo di significati può rappresentare gli infiniti spazi di “transizione” tra entità spesso considerate separate, isolate l’una dall’altra, a volte contrapposte: dentro-fuori; interno-esterno; soggettivo-oggettivo, individuale-collettivo, ecc. Si tratta di un esercizio di flessibilità dell’immaginazione per permettere agli altri di vivere uno spazio in modo più libero, in rapporto a differenti stati emotivi e mentali. L’analogia con gli oggetti transizionali è molto attraente, anche se evidentemente simbolica. Indica solo una direzione, quella di tentare una maggiore interazione “conformativa” tra spazi e soggetti, e non può generare alcuna “traduzione diretta”.
“Si tratta di un meraviglioso paradosso perchè l’oggetto, appunto transizionale, non appartiene né alla realtà interna né al mondo esterno. Il bambino lo ha contemporaneamente trovato e creato” (V. Lingiardi, Mindscape, Milano, 2017, p.42).
b.tailoring_ nel senso di permettere a ognuno (curante e curato, cittadino e turista, stanziale e nomade, bambino e adolescente) di trovare nicchie a sua misura, adatte a ospitare stati diversi, individuando di volta in volta gli oggetti più adatti a rappresentare il proprio mondo interno. Come avviene nel giardino:
“La varietà di un giardino non si limita al tipo e al numero delle sue piante o allo stile in cui viene mantenuto: Ci sono i modi in cui può essere usato: preghiera, meditazione, rifugio, nascondiglio, nido d’amore o di sesso veloce. Le sue caratteristiche di luogo appartato, la presenza di una panchina, lo rendono adatto alla conversazione intima, ai momenti di sincerità e abbandono. Un setting psicologico appartato, con regole da rispettare, cure da offrire e una libertà da scoprire.” (V. Lingiardi, op.cit. p.198).
- taking care_ nel nostro campo di significati si tratta di immaginare come l’interazione con uno spazio che ha bisogno di essere curato può “giovare” anche al portatore di cura; prendersi cura come impegno, responsabilità, e come capacità di evolversi nel tempo, seguendo l’evoluzione degli spazi stessi.
“Un paesaggio non solo come luogo di cura ma come luogo che cura. Ma c’è anche un paesaggio bisognoso di cure e della nostra attenzione; un paesaggio fragile (…) in bilico tra passato e futuro, tra natura e memoria, emblema di un abitare spaesato e di una crisi nella pratica dei luoghi. Un paesaggio che denuncia una ferita, e al tempo stesso ci invita a tentare una sutura.” (V. Lingiardi, op.cit, p.224).
Lucina Caravaggi, architetto e professore di Architettura del Paesaggio della Sapienza Università di Roma