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Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD): un percorso evolutivo al quale dedicare continuità di assistenza all’interno dei servizi di salute mentale

Pietro De Rossi

MD, PhD. Unità di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma.

 

L’ADHD è fra i più frequenti disturbi del neuro-sviluppo diagnosticati in età evolutiva e ancora oggi, come nel caso di tutti i disturbi del neuro-sviluppo e non solo in Italia, rappresenta un argomento del quale la gran parte degli specialisti in salute mentale che si occupano di età adulta non vuole o non sa occuparsi. Purtroppo o per fortuna, non si può scegliere di cosa occuparsi quando si è chiamati per mandato istituzionale a prendersi cura della salute mentale di una comunità.

Per questo motivo ritengo estremamente importante creare consapevolezza e preparazione crescenti riguardo questo argomento, perché si tratta di un problema che può essere trattato in maniera specifica ed efficace e che, come in genere i disturbi del neuro-sviluppo, rappresenta una intera storia di vita con potenziali traiettorie evolutive di spiccato interesse psicopatologico. Come tutti i disturbi del neuro-sviluppo e, in generale, come tutte le condizioni che hanno origine in età evolutiva, costringono in maniera appassionante chi è chiamato a occuparsene a una ricostruzione biografica della persona. Infatti, quando una persona con ADHD (specialmente tra la tarda adolescenza e l’età adulta) si presenta a chiedere aiuto presso uno specialista della salute mentale può avere pressoché qualunque aspetto: può essere una giovane donna con depressione la cui storia è stata da sempre caratterizzata esclusivamente da “disattenzione”, può essere un ragazzo con poliabuso di sostanze ed evoluzione verso un disturbo della condotta o personalità antisociale, può essere qualcuno con problemi di disregolazione emotiva o alimentare e così via. In ognuno di questi casi ragionare in termini di “deficit di attenzione e iperattività” risulta fuorviante e poco utile. Per comprendere se l’ADHD è presente come dimensione di neuro-sviluppo significativa è necessario identificare una storia di vita e di esistenza caratterizzata da un utilizzo anomalo ed altamente variabile dell’attenzione, come delle altre funzioni cognitive ed affettivo-emotive e dei processi di “investimento” sul reale, sulla base di una dimensione motivazionale che ha un tono parcellizzato, volubile e incostante. Per dirlo in termini fenomenologici, una sorta di discontinuità nella “intenzionalità” della coscienza. Si tratta di un sistema neurobiologico, psichico, esistenziale e relazionale abituato, se non trattato adeguatamente, a funzionare in maniera tendenzialmente “caotica e desincronizzata”, e che può adeguatamente “sintonizzarsi” solo in presenza di stimoli ad alta intensità.

Da tutto questo emergono sia gli aspetti ipercinetici e dispersivo-caotici dei più piccoli, sia i tentativi di iper-compenso ansioso e pseudo-ossessivo dei più grandi e meno evidentemente irrequieti sul piano motorio fenomenico.

In Italia, come in altri paesi in Europa e nel mondo, gli specialisti che si occupano di salute mentale in età evolutiva e in età adulta hanno conoscenze e competenze distinte e complementari, sulla base di itinerari formativi caratterizzati da limitate aree di sovrapposizione 1.

In particolare, da una survey effettuata in 36 paesi europei su specialisti della salute mentale in formazione emerge che solamente il 27% degli specialisti stessi ha affermato di avere una conoscenza buona o molto buona del processo di transizione. Inoltre, la formazione teorica sulla transizione è stata segnalata solo nel 17% dei casi, mentre la formazione pratica nel 28% 2. Questo limita la fluidità e l’efficacia del processo di transizione e rende ragione del fatto che nessuna delle due categorie specialistiche sopra descritte possa occuparsi del processo di transizione da sola.

Le considerazioni sopra citate hanno molta importanza in quanto la gran parte dei disturbi mentali gravi hanno esordio prima dei 18 anni. Più specificamente, la metà di tutti i disturbi mentali inizia entro i 14 anni, è solitamente preceduta da disturbi psicosociali non specifici, con potenziale evoluzione in qualsiasi disturbo mentale importante, e rappresenta il 45% del carico globale di malattia nell’arco di età 0-25 anni 3,4. Inoltre, per lo meno in parte dei casi, si riscontra una componente di neuro-sviluppo che necessita di conoscenze e competenze specifiche per essere gestita 5.

Dati europei mostrano come almeno il 15% delle ragazze e dei ragazzi prima dei 18 anni possano ricevere una diagnosi di disturbo mentale che necessiti di trattamento, e che il picco di diagnosi di disturbi del neuro-sviluppo sia significativamente più tardivo nelle ragazze, suggerendo ritardo nell’identificazione 6.

Esistono, infine, finestre neuro-evolutive e psico-evolutive tempo-specifiche che riguardano i principali disturbi tipici dell’età adulta che è essenziale conoscere per pianificare appropriati interventi preventivi e formulare corretti giudizi prognostici 4.

In base al più recente “Consensus Statement” Europeo a cura del Network per l’ADHD in età adulta 7il passaggio di presa in carico tra servizi per minori e servizi per adulti è da completarsi gradualmente entro il raggiungimento dei 18 anni e deve essere pianificato in anticipo tramite collaborazione tra servizi per età evolutiva ed età adulta, se necessario anche mediante incontri formali tra i servizi stessi e creazione di équipes integrate con «case manager» che dialoghino su casi in fase di transizione e curino il passaggio di presa in carico 8,9.

A fronte di questo, la condizione europea riguardo la gestione di una continuità di presa in carico di utenti con ADHD tra età evolutiva ed età adulta al 2019 poteva essere descritta nei termini seguenti: gli utenti con ADHD, paragonati a utenti con altre diagnosi, hanno maggiori probabilità di non essere inviati a ulteriore valida presa in carico o di rifiutarla. Un numero significativo di utenti resta in carico ai servizi per età evolutiva anche dopo aver compiuto 18 anni. E’ significativa la scarsità dei servizi specifici per adulti, principalmente a causa di mancanza di esperienza clinica tra gli specialisti 7.

Sulla base di studi di registro scandinavi si stima che l’età media alla diagnosi di ADHD negli adulti sia 30 anni 10. La diagnosi viene fatta tra i 2 e i 10 anni dalla presa in carico presso i servizi di salute mentale. In base a questi dati è chiaro come non si possa delegare esclusivamente all’area della “transizione” la gestione clinica dell’ADHD in età adulta. Sono infatti necessarie consapevolezza e preparazione in tutti i servizi di salute mentale per età adulta.

Perché conoscere, diagnosticare e saper trattare l’ADHD nel corso dell’intero arco di vita dovrebbe interessarci molto? Di seguito sono sintetizzati alcuni esempi sostenuti da letteratura scientifica.

I pazienti autori di reato sono nel 56% dei casi ADHD non riconosciuti anche se precedentemente già presi in carico dai servizi di salute mentale 11. Ciò non stupisce dato che in media, anche nei paesi del Nord Europa, solo il 2,7% degli utenti vengono diagnosticati come ADHD 10mentre in base a stime di prevalenza dovrebbero essere per lo meno un quinto di tutti gli utenti 12. Ovviamente la diagnosi di ADHD non è tra quelle che possono influire sull’imputabilità, ma in un sistema come il nostro che si propone di trattare e riabilitare i pazienti autori di reato non tener conto della presenza di ADHD può influenzare molto negativamente questo processo. Per fare solo un esempio, è infatti dimostrato da tempo che il trattamento dell’ADHD mediante stimolanti riduce significativamente il tasso di recidiva di crimine in soggetti già precedentemente arrestati e con diagnosi di ADHD 13.

Tra tutti gli “esordi” di psicopatologia grave con accesso nei reparti per acuzie, si stima che almeno l’8% degli utenti abbia una diagnosi di ADHD, soprattutto in chi accede per disturbi dell’umore grave, quadri in associazione a uso di sostanze psicotrope e autolesionismo suicida e non suicida. Questo è importante perché, in media, dopo il primo ricovero in acuzie gli utenti affetti da ADHD rimangono almeno 2 anni senza trattamenti farmacologici specifici per ADHD (in particolar modo gli stimolanti come il metilfenidato) e questo limita di molto le possibilità di recupero e re-inserimento 14.

Esistono infatti numerose e significative evidenze scientifiche che sostengono su grandi numeri l’efficacia dei trattamenti farmacologici ADHD-specifici (principalmente metilfenidato e stimolanti in genere) su aspetti clinici e funzionali che vanno oltre il mero trattamento dei sintomi “base” o “core” dell’ADHD tanto in età evolutiva quanto in età adulta 15–18.

Gli aspetti sopra menzionati comprendono condizioni che sempre più spesso mettono a dura prova gli attuali sistemi assistenziali: quadri con comorbidità multiple e complesse possono avere una componente neuro-evolutiva (spesso si tratta proprio di ADHD non diagnosticato), qualcosa di simile accade anche in gran parte dei casi che etichettiamo come “resistenti” ai trattamenti, infine porre corretta diagnosi di ADHD può fornire preziose risorse nel trattamento e/o nella prevenzione di alcuni disturbi da uso di sostanze.

A fronte di tutto questo, fino a pochissimo tempo fa l’Italia risultava essere l’unico paese europeo nel quale il trattamento con metilfenidato non risultasse ufficialmente approvato secondo indicazione per il trattamento dell’ADHD negli adulti 19. Solamente dal mese scorso è possibile prescrivere metilfenidato secondo indicazione e con piano terapeutico anche negli adulti con prima diagnosi o primo trattamento dopo i 18 anni. Questo in base alla recente determina dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) AAM/PPA n.659/2023 datata 13 ottobre 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 244 del 18 ottobre 2023. Quanto qui descritto rappresenta uno dei punti di arrivo di un faticoso processo per la consapevolezza sull’ADHD portato avanti principalmente dalle associazioni dei familiari e da alcuni clinici presenti in singole ASL che, partendo dalla realtà assistenziale di Bolzano avevano creato una prima rete nazionale di centri specialistici sparsi sul territorio 20.

In conclusione l’ADHD rappresenta, in tutte le età della vita, una condizione clinico-esistenziale identificabile e, se necessario, curabile mediante trattamenti molto efficaci. Identificare e trattare l’ADHD permette di fornire protezione agli utenti e alle loro famiglie riguardo lo sviluppo di condizioni cliniche più complesse e meno gestibili e di aumentare le probabilità di costruzione di una esistenza autonoma, nella realizzazione delle loro potenzialità. Fare questo, per chi si occupa di tutela della salute mentale, non è solamente questione di buona pratica clinica ma anche deontologica ed etica.

 

 

 

Letture di approfondimento e materiale web consigliato in lingua Italiana

 

Testi in Italiano sull’ADHD nell’adulto

Nicolò, G., Pompili, E. (Curatori) Psichiatria territoriale. Strumenti clinici e modelli organizzativi. (Raffaello Cortina Editore, 2021).
Capitolo 33. De Rossi, P., Gubbini, S. “Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) nell’adulto”.

Migliarese, G., Mencacci, C. (Curatori) ADHD nell’adulto. Dalla diagnosi al trattamento. (Edra, 2021).

Migliarese, G., Venturi, V., Levin Reibman, Y. & Mencacci, C. ADHD negli adulti. Un modello per l’intervento psicoeducativo. (Erickson, 2023).

Conca, A., Giupponi, G. (Curatori) ADHD nell’Adulto. (Ronzani Edizioni Scientifiche, 2023).

Jeavons, A., Bishop, T., French, B., Bastable, S. Manuale pratico per il trattamento dell’ADHD dell’adulto. Edizione Italiana a cura di Pietro De Rossi e Silvia Gubbini. (Edizioni ApertaMenteWeb, 2023).

Siti Web delle principali associazioni Italiane per l’ADHD/società per formazione

AIFA APS – Associazione Italiana Famiglie ADHD, https://www.associazioneaifa.it/ https://youtube.com/@aifaaps ;

ADHD Italia, https://www.adhditalia.org/;
AIDAI – Associazione Italiana per i Disturbi di Attenzione e Iperattività,

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