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Disregolazione emotiva ed erranza dei sintomi

Gianlugi Di Cesare

responsabile UOC Prevenzione Interventi Precoci ASL ROMA 1

 

Effettuare una diagnosi in adolescenza rappresenta un compito ricco di problematicità e di difficoltà. Se da un lato, infatti, la diagnosi ha una funzione rilevante nell’orientare il trattamento e l’intero progetto terapeutico, dall’altro l’adolescenza si pone come un periodo della vita caratterizzato dal continuo cambiamento e, pertanto, la sintomatologia è difficilmente cristallizzabile all’interno di una specifica etichetta diagnostica. Si aggiunga a questo che, sempre più spesso, le presentazioni cliniche della patologia adolescenziale sono fortemente connotate da fenomeni di comorbidità che le rendono scarsamente inquadrabili all’interno di un sistema diagnostico categoriale quale quello del DSM o dell’ICD. Inoltre, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo assistito a un’ulteriore trasformazione della sintomatologia, una sintomatologia cangiante, capace di spostarsi in tempi brevi dalla restrizione alimentare all’autolesionismo e da questo all’ideazione suicidaria, per poi intraprendere il percorso contrario. Un’oscillazione continua in tutte le direzioni come a voler dimostrare la vacuità e la non validità dei nostri sistemi diagnostici, incapaci di circoscrivere in un unico codice la proteiforme sintomatologia. Di fronte a queste manifestazioni sintomatiche, polimorfe ed espresse con grande drammaticità, anche il concetto di comorbidità si rivela inadeguato, tanto da averci spinto a coniare il termine di “erranza del sintomo”. In effetti, più che di una co-occorrenza di configurazioni diagnostiche come nella comorbidità orizzontale o di una traiettoria evolutiva che, nel suo percorso si presti a diagnosi differenti come nella comorbidità longitudinali, è proprio il sintomo che sembra aver perso il suo potere di organizzatore psichico, sia pure sul versante della psicopatologia. Il sintomo, infatti, soprattutto in adolescenza, ha sempre svolto almeno una duplice funzione: da un lato rappresenta il messaggio, la richiesta d’aiuto e, dall’altro, costituisce il primo tentativo, sia pure patologico, di autocura. Il sintomo, cioè, si manifesta come una rappresentazione capace di dare forma e organizzazione al disagio sottostante permettendo, almeno parzialmente, il contenimento dell’angoscia. E’ proprio questa funzione organizzativa che sembra non funzionare più come se l’erranza, ovvero il continuo transitare del sintomo in modalità espressive differenti, tradisse il bisogno di identificarsi, sia pure sul versante psicopatologico, e il contemporaneo fallimento di questo tentativo. Erranza del sintomo e comorbidità potrebbero allora essere viste come due differenti prospettive, soggettiva la prima e oggettiva la seconda, attraverso le quali viene profondamente minata l’impalcatura dei sistemi diagnostici categoriali. Questa problematica, ovvero l’incapacità di questi sistemi a consentire un’adeguata diagnosi, può essere affrontata in modi diversi: da un lato, seguendo l’imput inaugurato dalle varie edizioni del DSM, si può cercare di circoscrivere ulteriormente le singolarità dei disturbi approdando a un incremento esponenziale delle diagnosi; dall’altro – terreno che sembra dimostrarsi sempre più fertile – si può lavorare a identificare organizzatori transdiagnostici, ovvero processi che sembrano sottostare a diverse manifestazioni psicopatologiche. Tra i costrutti transdiagnostici un ruolo di particolare rilievo spetta, a seguito delle ormai numerosissime ricerche di questi ultimi anni, alla regolazione emotiva intesa come il processo attraverso il quale viene modulata l’intensità e/o la durata della risposta emotiva di fronte a domande provenienti dal contesto ambientale. La regolazione emotiva è un costrutto multidimensionale che comprende quattro aspetti:

  1. Consapevolezza, comprensione e accettazione dell’esperienza emotiva;
  2. Capacità di impegnarsi in comportamenti finalizzati a un obiettivo inibendo, contemporaneamente, comportamenti impulsivi nel momento in cui si sperimentino emozioni negative;
  3. Uso flessibile di diverse e appropriate strategie per modulare l’intensità e la durata delle risposte emotive;
  4. Disponibilità a e capacità di sperimentare le emozioni negative come dotate di senso e inestricabilmente connesse alla vita.

Questo costrutto è dinamico in quanto varia in funzione delle diverse età della vita e dei differenti contesti sociali e sembra quindi in grado di fornire un’utile chiave di lettura sia rispetto alla comorbidità orizzontale che a quella longitudinale. L’uso di strategie inadeguate (ruminazione, soppressione, evitamento) per regolare le emozioni è infatti correlato a un vasto numero di disturbi e direttamente implicato in ansia, depressione, uso di sostanze, disturbi alimentari e disturbo borderline di personalità. Inoltre, per il suo essere fortemente correlato a una dimensione evolutiva, permette di chiarire e/o prevedere il passaggio da una patologia a un’altra all’interno di traiettorie evolutive. L’utilità di un approccio transdiagnostico e, in particolare, del costrutto della regolazione emotiva, permette inoltre di poter ripensare l’approccio terapeutico suggerendo che, terapie specificatamente dirette a migliorare la regolazione emotiva, potrebbero essere efficaci in numerose e diverse patologie.

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