
Tiziana Ficeto
Centro Ri.ESI – ASL ROMA 1
Chiara (nome di fantasia), 5 anni, è accompagnata al Centro Ri.ESI dal responsabile della casa famiglia cui è inserita da qualche mese. Dall’arrivo in struttura la bambina presenta mancato controllo sfinterico, problemi di linguaggio e nell’addormentamento, difficoltà di inserimento e socializzazione nel contesto scolastico. Manifesta inoltre iperattivazione, congelamento emotivo e debole tolleranza alla frustrazione con tendenza ad assumere comportamenti oppositivo-provocatori o atteggiamenti inibiti fino ad assentarsi.
Ultima di quattro figli, Chiara proviene da un contesto familiare multiproblematico, attenzionato negli anni dai Servizi Sociali e dal Tribunale fino alla segnalazione del pronto soccorso ospedaliero in cui la bambina viene condotta dalla madre Rosa per “ecchimosi facciali”, esito di riferito incidente domestico. In quella sede la sig.ra racconta che qualche giorno prima la figlia era caduta nella doccia riportando altre ecchimosi. Inoltre riferisce che la bambina lamentava episodicamente un fastidio a livello vulvare, affermando di essere stata toccata dal padre che Chiara continuava a frequentare dopo la separazione dei genitori. Sarà lei stessa a raccontare in casa famiglia che “il papà mi mette il dito dentro” ovvero “dentro la patatina” e di aver subito maltrattamenti fisici anche da parte della madre.
La violenza sessuale e il maltrattamento contrassegnano la storia della piccola Chiara ma anche quella trigenerazionale di Rosa, che racconta l’abuso sessuale subito dalla propria madre appena maggiorenne ma anche le sue esperienze di promiscuità. Sposatasi a 22 anni, in poco tempo Rosa si separa e dopo la morte della madre inizia a fare uso di sostanze stupefacenti fino a perdere il lavoro. In quel periodo conosce Marco, con una storia di dipendenza da sostanze, con cui avrà due figli. Descrive un rapporto di coppia saturato da liti accese anche alla presenza dei bambini, dalle aggressioni verbali e violenze psicologiche subite dal compagno ma anche dal maltrattamento fisico subito dal figlio primogenito ad opera del padre. Separatasi, la sig.ra conosce Stefano con problemi di dipendenza e precedenti di giustizia con cui va a convivere. Ben presto anche nella nuova coppia cominciano le liti per motivi di gelosia. Lasciato il compagno al quinto mese di gestazione della figlia Agnese, l’anno dopo Rosa inizia una relazione con Carlo e conduce Agnese dallo zio paterno perché impossibilitata ad occuparsene. Nonostante ciò il primogenito comincia ad avere problemi comportamentali a scuola. Dopo qualche tempo Stefano, entrato in comunità di recupero, in un giorno di permesso trova la figlia Agnese in una condizione di grave incuria aggravata dall’alcool dipendenza degli zii collocatari per cui decide di portarla con sé in comunità. Tale vicenda arriva all’attenzione del Tribunale per i Minorenni. Nel frattempo Rosa e i suoi figli vanno a vivere con Carlo in una condizione di precarietà abitativa ed economica. L’anno dopo nasce Chiara. I Servizi Sociali mettono in campo diversi interventi a favore del nucleo (assistenza domiciliare, sostegno economico, inserimento gratuito al nido comunale per Chiara) ma la situazione rimane critica. Il figlio maggiore manifesta comportamenti violenti a scuola, trascuratezza nell’igiene personale e nell’abbigliamento. In casa si intensificano sia le discussioni tra Rosa e Carlo sia le difficoltà economiche. Gli adulti non appaiono attenti alla cura dei bambini dal punto di vista igienico né garantiscono una frequenza costante di Chiara al nido. Rosa dichiara in Tribunale di non volersi occupare della figlia Agnese. Di lì a poco la sig.ra si separa da Carlo che continua ad incontrare Chiara durante il weekend.
Successivamente alla segnalazione dell’ospedale anche i fratelli maggiori confermeranno che dopo un fine settimana con il padre Chiara è tornata a casa piena di lividi, aveva paura di tutti e voleva stare solo con la madre oltre ad averle visto uscire sangue dalle parti intime. Seguirà il collocamento in casa famiglia per i minori con l’apertura di un procedimento per la verifica dello stato di abbandono per la più piccola.
La storia di Chiara, una bambina graziosa dallo sguardo smarrito alla continua ricerca del contatto fisico con il clinico, sembra ben rappresentata dal suo Disegno della Famiglia (Fig.1) in cui traccia un cerchio vuoto, facendo probabilmente eco a quel vuoto che sembra aver sperimentato nel contesto familiare.

Le vicende della bambina, come quelle dei minori che accedono al Centro Ri.ESI, sono intrise di esperienze di abuso e maltrattamento ovvero “tutte le forme di cattiva cura fisica ed affettiva, di abusi sessuali, di trascuratezza e di trattamento trascurante, di sfruttamento commerciale e altre che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, la sua sopravvivenza, il suo sviluppo o la sua dignità nel contesto di una relazione di responsabilità, di fiducia o di potere” (WHO, 2006). Tra queste, è ormai accreditato nella comunità scientifica individuare cinque macro categorie: maltrattamento, violenza assistita, patologia delle cure, abuso sessuale e violenza tra pari. Spesso queste diverse forme coesistono e sono combinate tra loro, come nel caso di Chiara in cui è possibile rintracciare una condizione di incuria ovvero un’insufficienza delle cure fisiche e/o psicologiche nei confronti della minore, ma anche di violenza assistita ovvero l’assistere ad atti di violenza fisica, verbale, psicologia, sessuale ed economica che avvengono tra le figure di riferimento o altre figure affettivamente significative, così come di maltrattamento fisico ed abuso sessuale.
Nell’ultima ricerca condotta in Italia sulla dimensione epidemiologica della violenza sui minori in Italia (Terre des Hommes-CISMAI 2021) risultano 77.493 le vittime di maltrattamento tra i minori presi in carico dai Servizi Sociali, con una prevalenza della patologia delle cure e della violenza assistita a fronte di una scarsa rappresentatività dell’abuso sessuale, dovuta probabilmente ad una difficoltà nella rilevazione di queste situazioni che avvengono per lo più nel contesto intrafamiliare e pertanto taciute. Eppure per l’impatto sul benessere fisico, mentale e sociale delle vittime, e più in generale sulla società anche in termini di spesa sociale e sanitaria il maltrattamento costituisce “un problema di salute pubblica” (WHO 2006; Felitti 2012). Le evidenze cliniche e le ricerche su scala mondiale hanno dimostrato che ogni evento di natura maltrattante, specialmente se sperimentato precocemente e ripetutamente nelle relazioni primarie di cura, in carenza o assenza di fattori protettivi e di resilienza nel bambino, produce trauma psichico/interpersonale che colpisce e danneggia le principali funzioni dello sviluppo (Malacrea 2002; Van der Kolk 2005; Courtois e Ford 2009; Russotti 2021). Studi recenti nelle neuroscienze ne hanno evidenziato le dannose implicazioni a livello neurologico e le alterazioni sullo sviluppo cerebrale (Courtois e Ford 2009; Felitti 2012). Il danno causato è tanto maggiore quanto più il fenomeno:
– resta sommerso e non viene individuato;
– è ripetuto nel tempo ed effettuato con violenza e coercizione;
– la risposta di protezione alla vittima nel suo contesto familiare o sociale ritarda;
– il vissuto traumatico resta non espresso o non elaborato;
– la dipendenza tra la vittima e il soggetto maltrattante è forte;
– il legame tra la vittima e il soggetto maltrattante è di tipo familiare;
– lo stadio di sviluppo e i fattori di rischio nella vittima favoriscono un’evoluzione negativa (Barnett, Manly e Cicchetti, 1993; Mullen e Fergusson,1999).
Le esperienze di maltrattamento subite dai minori appaiono predittive di un complesso di sintomi nell’infanzia, sia internalizzanti sia esternalizzanti, che in età adulta si traducono in un aumento dei disturbi d’ansia, depressione, disturbo da uso di sostanze e disturbo antisociale di personalità (Russotti 2021). In particolare minori che hanno vissuto situazioni di incuria spesso manifestano ritardo del linguaggio, ritardo psicomotorio, iperattività e disturbo dell’attenzione, scarso rendimento scolastico, disturbi alimentari, uso precoce di tabacco, alcool e droghe. Allo stesso modo subire o essere esposto alla violenza può danneggiare lo sviluppo neurocognitivo del bambino con effetti negativi sull’autostima, sulla capacità di empatia e sulle capacità intellettuali. Ansia, impulsività e difficoltà di concentrazione sono i sintomi più frequenti mentre nel lungo periodo si registrano casi più o meno gravi di depressione, disturbi del sonno e disordini nell’alimentazione oltre ad avere un forte impatto sulle capacità di socializzazione. Gli abusi sessuali a loro volta provocano conseguenze psicologiche immediate sul minore come regressione infantile, disturbi alimentari, disturbi del sonno, isolamento, masturbazione coatta, emozioni di vergogna o colpa. Successivamente possono svilupparsi depressione, disturbi alimentari, dipendenze oltre a disturbo borderline di personalità.
Per la stessa Chiara, al termine della valutazione psicodiagnostica, è emerso un quadro suggestivo di un disturbo misto dello sviluppo unito a una condizione post-traumatica tanto da avviarla preliminarmente al TSMREE di competenza per meglio definire il suo percorso riabilitativo, fornendo tutte le certificazioni necessarie anche ai fini dell’integrazione scolastica (legge 104/92). Nel frattempo, tenuto anche conto dei miglioramenti manifestati dal suo ingresso in struttura e del tempo necessario alla definizione della sua situazione di vita che sembra volgere verso una possibile adottabilità, si è stabilito di mantenere un monitoraggio del suo stato emotivo al fine di poterle garantire in tempi successivi uno spazio di cura rispetto ai suoi vissuti traumatici.
Di casi come questo si occupa il Centro Ri.ESI che mira a favorire l’emergere di tutte le forme di abuso e maltrattamento, in particolare quelle sommerse che, se non adeguatamente trattate, favoriscono processi di cronicizzazione. Il suo funzionamento, rappresentato nella Fig. 2, prevede una serie di azioni attraverso cui vengono prese in carico le vittime di abuso e maltrattamento e le loro famiglie dal momento dell’invio attraverso la linea di consulenza telefonica (0660106662) fino alla definizione del progetto terapeutico, compresa la segnalazione all’Autorità Giudiziaria laddove in obbligo di legge.

In un anno e mezzo di attività, tenuto conto degli invii limitati ai Servizi Asl e Municipali, al Centro Ri.ESI sono pervenute 185 consulenze telefoniche di cui 82 casi sono stati presi in carico per approfondimenti psicodiagnostici e successivi trattamenti psicoterapeutici.
L’obiettivo auspicato è di raggiungere un sempre maggior numero di minori coinvolti in situazioni di abuso e maltrattamento, soprattutto quelle che rischiano di rimanere inespresse ed invisibili. Per quanto infatti la violenza sui minori è molto diffusa, risulta difficilmente rilevabile sia per meccanismi culturali di minimizzazione e negazione dl fenomeno, sia perché si verifica prevalentemente all’interno della famiglia. Occorre quindi affinare la nostra capacità di rilevazione che consenta il precoce riconoscimento dei segnali di malessere dei soggetti coinvolti, le condizioni di rischio reale e potenziale in cui si trovano nonché le eventuali condotte pregiudizievoli degli adulti di riferimento. Eppure l’incontro con queste situazioni può essere molto difficile a causa di un’intensa attivazione emotiva che rischia di innescare agiti che molte volte assumono le caratteristiche di un ulteriore abuso. Può essere allora utile avvalersi della linea di consulenza telefonica del Centro (0660106662 – attiva dal lun al ven 8.30-16.30) allo scopo di strutturare un intervento tempestivo ed efficace che garantisca la tutela e la cura del giovane paziente e della sua famiglia. Quello che solo tardivamente è accaduto nella vita di Chiara e dei suoi fratelli.
Bibliografia
Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza- CISMAI – Fondazione Terres des Hommes Italia (2021), II Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia. Risultati e prospettiv
Barnett – Manly – Cicchetti (1993), Defining child maltreatment: the interface between policy and research in Cicchetti D., Child abuse, child development and social policy, Nordwood, NJ Ablex
Curtois C.A. – Ford J.D. (2009), Treating complex traumtaic Stress Disorder. An evidenced- based Guide, New York, Guilford Press
Dipartimento delle Politiche della Famiglia – Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza (2022), Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori 2022-2023 in htpps://famiglia.governo.it
Felitti et al. (2012), The Adverse Childhood Experiences (ACEs) Study, in www.cdc.gov/ace/outcomes.htm
Fergusson-Mullen (1999), Childhood sexual abuse: an evidence based perspective, Thousand Oaks
Malacrea M. (2020), Curare i bambini abusati, Raffaello Cortina Editore, Milano
Malacrea M., Lorenzini S. (2002) Bambini abusati, Milano, Raffaello Cortina Ed.
Russotti et alii (2021), Child maltreatment and the development of psychopathology: The role of developmental timing and chronicity in Child Abuse and Neglect vol 120
Save the Children (2012) Abuso sessuale online e nuovi media: spunti teorico-pratici in https://www.savethechildren.it
Tenuta Flaviana et alii (2020), Maltrattamento e abuso: una rassegna su definizioni, tipologie e interventi per la tutela dei soggetti a rischio in Maltrattamento e Abuso all’Infanzia vol. 22
Van Der Kolk, B.A. (2005) Developmental Trauma Disorder.Towars a rational diagnosis for children with complex trauma Histories, Psychiatric Annals, 5
Visci G.F.- Masi M.(2019), I pediatri e il maltrattamento all’infanzia. Prevenzione, diagnosi e contrasto alla violenza, Milano, Franco Angeli
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