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Di cosa parliamo quando parliamo di Disturbi del Comportamento Alimentare

Armando Cotugno

Direttore UOSD Disturbi del Comportamento Alimentare, ASL Roma1

 

 

Con la pubblicazione del DSM-V nel 2013 i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) – Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo dell’Alimentazione Incontrollata o Binge Eating Disorders – BED – sono confluiti in una classe nosografica più ampia, definita come Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA), in cui sono compresi altri disturbi psicopatologici che si manifestano attraverso un comportamento alimentare disfunzionale, non riconducibile a pensieri focalizzati su forme corporee e peso, come nei DCA propriamente detti. I DNA sono disturbi ad alta complessità bio-psicosociale, caratterizzati da un’espressività clinica mutevole, dove la comorbilità medica e psichiatrica costituisce la regola piuttosto che l’eccezione. A partire dagli anni ’80 del secolo scorso l’incidenza dei DNA ha mostrato un progressivo aumento, andato di pari passo all’abbassamento dell’età d’esordio. Con la pandemia COVID-19 l’incremento dei DNA ha assunto caratteristiche di vera emergenza sanitaria, soprattutto nella popolazione adolescenziale, al pari di altri quadri psicopatologici contraddistinti da un interessamento della corporeità (comportamenti anticonservativi e tentato suicidio) e che mostrano ampie aree di comorbilità.

 

1.Epidemiologia dei DNA

La prevalenza media dei Disturbi dell’Alimentazione nel corso dei primi 40 anni di vita è stimata del 14,3% (95% UI, 9,7%-19,0%) per i maschi e del 19,7% (95% UI, 15,8%-23,9%) per le femmine: Il 95% dei casi ha un esordio prima dei 25 anni di età, questo suggerisce che questo è il periodo critico in cui concentrare gli sforzi di politica di prevenzione (Fig. 1). La prevalenza più alta nel corso di vita è intorno ai 21 anni di vita sia per i maschi (7,4%; 95% UI, 3,5%-11,5%) che per le femmine (10,3%; 95% UI, 7,0%-14,2%) (Ward et al., 2019). Il numero totale stimato su scala mondiale di persone affette da DNA nel 2019 era di 55,5 milioni (95% UI 38,7–75,2), pari a 717,3 (500,4–972,1) ogni 100.000 persone (Santomauro, 2021). Lo stesso studio ha evidenziato come la prevalenza dei DNA sia in linea con quella da disturbi da abuso di sostanza e superiore alla prevalenza dei disturbi bipolari, della schizofrenia, dei disturbi della condotta e dei disturbi di spettro autistico (Santomauro, 2021).

Figura 1 Prevalenza globale per diagnosi DNA, sesso ed età nel 2019 OSFED= Disturbo dell’Alimentazione Altrimenti Specificato Le aree ombreggiate indicano intervalli di incertezza del 95%.

 

Una questione centrale che emerge dagli studi epidemiologici è l’alta incidenza di mortalità nei DNA, che interessa prevalentemente l’AN e la BN. L’anoressia nervosa colpisce fino al 3% delle giovani donne e ha il più alto tasso di mortalità tra tutti i disturbi psichiatrici, con circa il 5% dei pazienti che muoiono entro quattro anni dalla diagnosi. Una grave perdita di peso e la malnutrizione possono causare danni diffusi agli organi che possono persistere nel tempo, anche se l’anoressia nervosa viene alla fine gestita bene. Un recente studio del 2021 ha evidenziato come L’AN fosse associata a un rischio di morte 2,47 volte superiore rispetto alla popolazione generale (95% CI: 2,01-3,04). Le donne con tre o più ricoveri per AN avevano un rischio di morte 4,05 volte superiore nel tempo (95% CI: 2,85-5,75). L’AN è stata associata a 9,01 volte il rischio di morte a 5 anni (95% CI: 7,28-11,16), 7,18 volte il rischio a 10 anni (95% CI: 6,07-8,51) e 2,90 volte il rischio a 20 anni (95% CI: 2,16-3,89Un ulteriore fattore connesso all’elevata mortalità nell’AN è rappresentato dall’alto rischio di suicidio: dopo la depressione, l’AN rappresenta il quadro psichiatrico con più alto tasso di suicidio, responsabili di circa il 20% dei casi di morte nelle pazienti con AN (Arcelus, 2011). Un alto rischio di suicidio è riscontrabile anche nella BN, dove l’elevata mortalità rispetto alla popolazione generale appare connessa a un maggiore rischio cardiovascolare, 7 volte superiore a quello della popolazione generale (Tith et al., 2019).

Il rischio di morte nell’AN è strettamente connesso all’accesso alle cure: un recente studio ha evidenziato come l’offerta terapeutica per i DNA nei paesi occidentali sia ancora ben al di sotto del bisogno di cura. L’attuale copertura terapeutica evita una media stimata di 41,7 decessi ogni 100.000 persone (95% UI, 13,0-82,0 decessi ogni 100.000 persone) entro i 40 anni di età, mentre l’aumento della copertura terapeutica per tutti i pazienti con DNA potrebbe evitare una media stimata di 70,5 decessi ogni 100.000 persone entro i 40 anni di età (95% UI, 26,0-143,0 decessi ogni 100.000 persone) (Ward et al., 2019).

 

2. Caratteristiche nosografiche dei DNA

Nell’Anoressia Nervosa (AN), l’età d’esordio interessa prevalentemente la fascia compresa tra i 12 e i 15 anni (Micali et al., 2013); l’esordio sia della Bulimia Nervosa (BN) che del disturbo da Binge Eating (BED) interessa prevalentemente la tarda adolescenza e la prima età adulta (16-22 anni).

L’interesse clinico per l’AN ha preso l’avvio fra gli anni Sessanta e Settanta, con i lavori di Mara Selvini Palazzoli (1963) e Hilde Bruch (1973, 1978), che la descrivevano come una patologia rara, che colpiva le giovani donne bianche di famiglie benestanti, appartenenti alle società occidentali industrializzate: purtroppo tale visione stereotipata continua a essere abbastanza diffusa tra gli operatori della salute mentale, mostrando una certa impermeabilità ai dati degli studi epidemiologici che mostrano come l’AN interessi trasversalmente le diverse classi sociali e non sia affatto appannaggio dell’etnia bianca caucasica. Il riconoscimento della bulimia (BN) come sindrome clinica è invece di qualche anno più tardivo: fu Russell (1979) a coniare il termine “bulimia”, presentandola come una variante dell’anoressia. Soltanto un anno dopo, la bulimia compariva nel DSM-III come una sindrome a sé stante (l’aggettivo “nervosa” verrà aggiunto nel 1987, con la pubblicazione del DSM-III-R) e la sua diffusione parve da subito repentina. Negli ultimi due decenni, una parte della letteratura scientifica sui disturbi alimentari si è dedicata al BED che, con la pubblicazione del DSM-V (2013), ha assunto dignità di quadro nosografico a sé stante, caratterizzato da episodi ricorrenti di alimentazione impulsiva, associata a senso di riduzione del controllo personale e di disagio corporeo, in assenza dell’uso regolare di comportamenti compensatori inappropriati, tipici della BN.

All’interno dei DNA il DSM-V ha introdotto una nuova entità nosografica: il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’Assunzione del Cibo, meglio conosciuto con l’acronimo inglese ARFID (Avoidant Restrictive Food Intake Disorder). All’interno della diagnosi ARFID sono confluiti quadri clinici come l’alimentazione selettiva, il disturbo emotivo da evitamento del cibo e la disfagia funzionale, caratterizzati da uno stato di dimagrimento da malnutrizione non associato a preoccupazioni per il peso o per le forme corporee, tipiche dei DCA classici. Prima della pubblicazione del DSM-V questi disturbi erano relegati alla prima età pediatrica: studi epidemiologici hanno invece evidenziato come questi disturbi siano presenti anche nel periodo adolescenziale e adulto. Sulla base dei pochi studi di prevalenza e incidenza dell’ARFID, si può affermare il disturbo interessa il 15-20% dei pazienti in età pediatrica che accedono ai servizi dedicati al trattamento dei DNA (Nicely et al., 2014; Norris et al., 2016; Zimmerman & Fisher, 2017). Gli adolescenti affetti da ARFID hanno mediamente un’età inferiore (13 +/- 2 anni) rispetto ai DNA (16 +/- 2 anni), è presente una percentuale maggiore di maschi (29% vs 10%) e, rispetto agli altri DNA, la compromissione psichiatrica appare maggiore, con comorbilità con lo spettro ansioso-ossessivo, depressivo, lo spettro autistico e l’area del discontrollo attentivo-comportamentale (ADHD).

L’AN è una condizione clinica caratterizzata da un’eccessiva perdita di peso, dove la preoccupazione per il peso e per le forme corporee e l’evidente distorsione dell’immagine corporea costituiscono parte integrante del quadro sintomatologico. Pensieri pervasivi e intrusivi sul peso e le forme corporee portano i pazienti a un comportamento alimentare restrittivo, alla base della malnutrizione e delle complicanze mediche che accompagnano il disturbo psicopatologico. Ricorrenti cicli di abbuffate seguite da comportamenti di compenso come il vomito auto-indotto, l’attività fisica eccessiva, la restrizione compensatoria, l’uso di lassativi e/o diuretici sono gli aspetti che caratterizzano la BN. Mentre le pazienti con AN presentano, per definizione, un basso peso, le pazienti affette da BN in genere hanno un normopeso, pur potendo essere anche in sottopeso o in sovrappeso. Un aspetto centrale dei DNA è rappresentato dalla natura cangiante della sintomatologia stessa: Fairburn ha messo chiaramente in evidenza come il passaggio tra un quadro nosografico e l’altro costituisca la regola piuttosto che l’eccezione (Fairburn & Harrison, 2003). La presenza di quadri misti (Disturbo dell’Alimentazione Altrimenti Specificato), che oscillano tra comportamenti alimentari restrittivi, di tipo anoressico, e comportamenti da discontrollo alimentare, con o senza attività di compenso, costituisce la realtà clinica più frequente (Santomauro, 2021). A questa natura mutevole della sintomatologia alimentare si aggiungono aspetti di comorbilità psichiatrica, quali depressione, ansia, ossessività e modalità oppositivo-provocatorie, disregolazione emotiva e discontrollo degli impulsi, spettro autistico ad alto funzionamento. La presenza di comorbilità psichiatrica interessa circa il 60% della popolazione affetta da DNA: tale complessità costringe il clinico a costruire una mappa dell’intervento terapeutico organizzata in modo flessibile e gerarchico (Cotugno & Sapuppo, 2019; Momen et al., 2022). L’organizzazione gerarchica del trattamento consente di orientarsi e districarsi tra aspetti medici e comorbilità psichiatriche, tra dinamiche relazionali/familiari e dinamiche psicologiche/intrapischiche connesse allo sviluppo adolescenziale: l’intervento terapeutico si articola lungo due coordinate principali: 1) la valutazione dello schema psicopatologico nucleare, comune alle diverse forme di disturbo alimentare, e 2) l’individuazione dei meccanismi di mantenimento dei DNA, su cui sono indirizzate le diverse tecniche terapeutiche utilizzate nella cura.

 

3.Il Nucleo Psicopatologico di Base dei Disturbi dell’Alimentazione

Diversi studi convergono sull’evidenziare come alcuni tratti personologici siano comuni a tutte le forme di DNA. La ricerca sulle componenti epigenetiche dei DNA ha fornito un ulteriore contributo alla comprensione del rapporto tra assetto personologico e sintomatologia alimentare. Il modello psicobiologico di Cloninger (1987) è stato ampiamente utilizzato nello studio dei DNA e si fonda sul riconoscimento di quattro dimensioni temperamentali di base: la ricerca di novità (novelty seeking), l’evitamento del pericolo (harm avoidance), la dipendenza dalla ricompensa (reward dependance) e la persistenza (persistence). L’harm avoidance definisce la tendenza a rispondere con intensità a stimoli negativi, con relativa inibizione del comportamento nel tentativo di evitare eventuali pericoli, novità o frustrazioni: tale tratto appare significativamente presente nei DNA. Per novelty seeking si intende la tendenza a reagire ai nuovi stimoli con eccitazione e intensità o a cercare potenziali ricompense o potenziali sollievi a esperienze negative: questa tendenza è significativamente presente nella BN e nel BED, e appare connesso agli aspetti di discontrollo impulsivo, tipico dei comportamenti di abbuffata, e alla disregolazione emotiva che di frequente accompagna questi disturbi. È necessario sottolineare il rapporto tra questi tratti temperamentali e il nucleo psicopatologico di base comune a tutti i DNA. La presenza del tratto harm avoidance permette di sottolineare come il senso di fragilità personale, associata a vulnerabilità nelle relazioni interpersonali, costituisca l’elemento centrale della percezione di sé in questi pazienti.  Nel tentativo di dare stabilità e competenza al senso pervasivo di fragilità personale i pazienti con DNA elaborano strategie di controllo anticipatorio, finalizzate a minimizzare la percezione di rischio interpersonale e di vulnerabilità. Sappiamo che le trasformazioni corporee a cui l’adolescente va incontro, rendono l’attenzione all’immagine corporea e alle forme fisiche un aspetto centrale del senso d’identità percepita (chi da adolescente non ha passato almeno un minuto davanti allo specchio scrutando nella propria immagine aspetti di forza e/o fragilità personale alzi la mano!!!). La ricerca in Psicopatologia dello Sviluppo ci fornisce una cornice adeguata per comprendere il ruolo del corpo lungo la transizione adolescenziale (Cicchetti & Rogosch, 2002). Il corpo dell’adolescente è il catalizzatore di questo processo, segnato da elementi di continuità e cambiamento: “non c’è periodo in cui il corpo si altera tanto quanto nella pubertà. I ​​cambiamenti corporei non sono soggetti né alla volontà di una persona né al suo controllo, eruttando e suscitando emozioni infuocate nell’adolescente” (Diem-Wille & Mcquade B., 2021). È in questa fase di criticità fisiologica dello sviluppo che l’immagine corporea viene investita di significati affettivi particolarmente pregni, ancor più intensificati dai modelli culturali occidentali dominanti che identificano nella magrezza un importante elemento di approvazione sociale e dignità personale.

Quanto descritto finora può essere concettualizzato in termini di nucleo psicopatologico di base che può essere articolato gerarchicamente in quattro livelli: 1. tema di vita; 2. convinzioni patogene; 3. strategie di coping; 4. Esito (Cotugno, 2022; Cotugno & Sapuppo, 2019).  I soggetti con DNA presentano una marcata vulnerabilità a stati mentali caratterizzati da un senso di profonda inefficacia personale e fragilità interpersonale, che rinvia a un’oscillazione tra due polarità di significato che possono essere schematicamente riassunti nel binomio competenza/efficacia personaleincompetenza/inefficacia personale (1. Tema di vita). Lo stato di percepita vulnerabilità personale viene contrastato attraverso ciò che Fairburn chiama “ipervalorizzazione” del peso e delle forme corporee (2. Convinzioni Patogene), che, come abbiamo visto, durante l’adolescenza costituiscono un elemento centrale nella costruzione del senso d’identità personale. In altre parole, attraverso l’impegno per raggiungere un peso e forme corporee ideali, i soggetti affetti da DNA perseguono l’obiettivo di un maggiore senso di sicurezza ed efficacia personale. Il raggiungimento di questo obiettivo passa attraverso la messa in atto di specifiche strategie di coping, che nel caso dei DNA trovano nella strategia di controllo anticipatorio la modalità privilegiata per la ricerca di un senso di maggiore efficacia personale (3. Strategie di Coping).  Le strategie di controllo anticipatorio sono un elemento costitutivo di alcuni aspetti sintomatologici dei DNA, come la rigidità cognitiva, l’evitamento sociale e l’inibizione dell’esplorazione. Ovviamente, le strategie utilizzate non sempre risultano efficaci: età, condizioni di vita e aspetti personologici costituiscono degl’importanti modulatori del grado di successo delle strategie utilizzate (4. Esito). Nel caso dei DNA l’efficacia delle strategie di controllo caratterizza principalmente l’AN, mentre una loro inefficacia, parziale (BN) o completa (BED), costituisce l’elemento distintivo del discontrollo alimentare e della disregolazione emotiva degli altri quadri nosografici.

L’approccio terapeutico deve tenere in debita considerazione i diversi fattori di modulazione del nucleo psicopatologico di base, come l’età, la durata e la gravità della malattia, i fattori personologici, le dinamiche familiari e la reazione familiare all’impatto che il disturbo ha avuto sul contesto familiare. Un trattamento gerarchicamente strutturato a “doppio binario” permette di coniugare dialetticamente il necessario intervento sugli aspetti sintomatologici e quello rivolto ai meccanismi psicopatologici di mantenimento, che possono essere schematicamente riassunti in cinque aree distinte:  1) Effetti della malnutrizione sul funzionamento del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e sui vari distretti organici; 2) Distorsione dell’immagine corporea; 3) Stile cognitivo;4) Stile emotivo; 5) Stile interpersonale e dinamiche familiari.

La cura dei DNA si basa su un intervento multiprofessionale dove diverse figure e protocolli terapeutici vengono integrati per garantire un trattamento flessibile sulla base dell’età, del quadro nosografico, della durata e della gravità della malattia. Le principali linee guida internazionali e le linee d’indirizzo del Ministero della Salute concordano nel ritenere come la cura dei DNA debba prevedere 4 livelli d’intensità di cura, in base alla gravità della sintomatologia (APA, 2023; NICE: 1. Ambulatorio; 2. Centro Diurno o Ambulatorio Intensivo; 3. Residenza Riabilitativa Psico-Nutrizionale, 4. Ricovero Ospedaliero (Cotugno & Sapuppo, 2014).

 

4.L’attività della UOSD Disturbi del Comportamento Alimentare ASL Roma1

La UOSD Disturbi del Comportamento Alimentare è stata istituita nell’agosto 2008: da allora ha valutato 2640 soggetti, prendendo in carico circa 1900 soggetti.  L’intervento ambulatoriale è sempre stato contraddistinto dallo sforzo di integrare all’interno dei protocolli d’intervento i trattamenti evidence-based, adattandoli alle specifiche del servizio e della tipologia di utenza (APA, 2006 & 2023; NICE, 2004 & 2017; RANZCP, 2014; QdS_Quaderni della Salute, 2013 & 2017). Nel corso degli anni sono stati incorporati nell’offerta terapeutica dalla UOSD DCA ASL Roma1 nel diversi tipi d’intervento: il trattamento Basato sulla Famiglia (FBT), la terapia cognitivo- comportamentale (CBT-E), la DBT per BN e DAI, gli interventi riabilitativi cognitivi ed emotivo-interpersonali (CRT e CREST), la terapia di familiarizzazione con il cibo (TFC) e altri interventi dietistico-nutrizionali, incluso l’uso della nutrizione assistita via SNG. A questi si aggiungono interventi psicoeducativi di gruppo dedicati a pazienti e familiari, anche in associazione con organizzazioni di familiari. L’offerta terapeutica garantisce anche i necessari approfondimenti specialistici, di laboratorio e strumentali, grazie ai percorsi di collaborazione con altre UU.OO. specialistiche della ASL Roma1. Nel 2022 la ASL Roma1 ha completato la rete territoriale di assistenza ai DNA, con l’istituzione dell’Ambulatorio Intensivo h 12 e la Residenza Riabilitativa Psiconutrizionale h 24). Soprattutto negli ultimi cinque anni le linee di collaborazione e presa in carico congiunta con altri servizi del DSM, quali PIPSM, TSMREE. CSM e SeRD, hanno lentamente perso il profilo di occasionalità, per diventare progressivamente più stabili e coordinate.

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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